Itinerario delle chiese rupestri
L’itinerario è dedicato al trasfondere l’amore semplice per la vita che i monaci e gli artisti di cultura bizantina e non ci hanno tramandato.
Sin dall’epoca normanna, l’intero agro melfitano è stato luogo ideale per l’insediamento dei monaci pellegrini vocati all’eremitismo. Le comunità monastiche che giunsero a Melfi, dall’oriente e dall’occidente, trovarono in queste campagne l’ambiente idoneo per creare, scavando nel tenero tufo, chiese e cenobi. Esempi di questa civiltà rupestre databile tra i sec. X e XII più significative e meglio conservate sono: la cripta di Santa Margherita, la chiesa delle Spinelle, la chiesetta di Santa Lucia, il Convento dei Cappuccini.
La “Cripta di Santa Margherita” è la più organica fra la chiese rupestri, dedicata all’omonima santa, vergine e martire dista circa tre km da Melfi. Scavata interamente nel tufo, a due campate a crociera ed un ampio cenobio. La struttura della cripta, gli elementi interni, il tripudio di colori rimandano all’oriente quasi con un senso di smarrimento.
In essa misticità ed arte si fondono nella rappresentazione di una moltitudine di santi raffigurati in stile bizantino e catalano quando sono anche martiri. Sul fondo che accoglie l’altare principale, un ciclo di pitture racconta la vita e il martirio di Santa Margherita. Sulla sinistra sopra l’altare secondario le immagini di Cristo Pantocrator e ai fianchi San Pietro e San Paolo attorniati da angeli e i quattro evangelisti, il tutto in stile bizantino.
Nella cripta sono raffigurati anche i primi martiri del cristianesimo, San Bartolomeo, Sant’Andrea, Santo Stefano e San Lorenzo oltre a quello della santa che da in nome alla cripta. A destra della cripta è raffigurato il martirio di San Lorenzo, bruciato, pertanto dipinto con colori molto accesi per enfatizzare le sue carni bruciate dalla fiamma. L’artista nel descrivere il martirio ha ritratto a fianco del santo il sovrano, l’aguzzino e dall’alto l’angelo alleviatore di sofferenze con un cielo stellato (da cui nasce la legenda del 10 agosto, notte delle stelle cadenti).
Ancora sulla sinistra vi è dipinta una famiglia di provenienza nordica, con vestiti eleganti, a fianco due scheletri, identificando una danza macabra che in quei tempi era monito ai vivi. Solo di recente lo studioso napoletano, Raffaele Capaldo ha sviluppato la tesi secondo cui i tre laici, sarebbero la famiglia imperiale sveva: Federico II, Isabella d’Inghilterra e Corrado un figlio dell’imperatore. L’identificazione si basa sui vestiti eleganti da caccia, il falcone, le attrezzature e il fiore di loto caro a Federico.
La Chiesa Rupestre della “Madonna delle Spinelle”, venne scoperta nel 1845 a seguito di una frana, ne resta solo la cappella terminale (resti della navata furono spianati negli anni settanta per creare un piazzale antistante) di pianta esagonale con sei semicolonne che sostengono un cornicione.
In era medievale era una parte della Basilica di Santo Stefano, una costruzione paleocristiana con più navate e cappelle annesse. Fu luogo di varie riunioni e congressi e si sostiene che da questa struttura partirono i soldati normanni capeggiati da Boemondo e Tancredi d’Altavilla per la prima Crociata in Terra Santa.
Nelle sue prossimità sono state ritrovate tracce di insediamenti ed una necropoli. Ad oggi la chiesetta è ancora aperta al culto venerando, appunto, la Madonna delle Spinelle con Bambino, in un affresco databile al sec. XI.
La Chiesa Rupestre di “Santa Lucia” è situata in contrada Giaconelli completamente immersa nei boschi del Vulture, a metà strada tra Melfi e Rapolla, è costituita da un solo ambiente con volta a botte, presenta vistose opere di consolidamento recente volte ad un contenimento strutturale più che di restauro. Gli affreschi della cripta, risalenti al XII secolo, pare su volere del Parroco dell’omonima chiesa in Melfi, e restaurati dal pittore prof. Tullio Brisi, presentano uno stile prettamente bizantino e illustrano le storie della santa. Inoltre vi è una raffigurazione della “Madonna con Bambino” seduta su trono mosaicato, tipica opera bizantina.
Il Convento del “Cappuccini”, un tempo isolato in aperta campagna, come la chiesa delle Spinelle, situata sulla cima della collina detta del monte Tabor, detentore di un panorama emozionante realmente a tutto tondo, oggi inglobato nel cuore pulsante della cittadina federiciana preservato da un polmone di verde e, affiancato da vecchi ovili (jazzi) in disuso che conservano ancora il fascino della pastorizia transumante e che oggi tento di rivalutare inserendoli in un contesto più qualificante in tutto il loro insieme, deve essere una tappa obbligata durante una visita in Melfi.
Il convento risale alla metà del sec. XI, ad oggi non più abitato dai frati Cappuccini ma dai Vincenziani, il monastero era anche chiamato della “Trasfigurazione di Cristo” all’inizio era una casa di noviziato per poi essere adibita, dal 1696, a sede teologica e filosofica tra le più importanti del cuore del mezzogiorno,
Anche quest’opera non fu risparmiata dai terremoti tant’è che, alla fine del sec. XVI venne gravemente danneggiato, ciò affiancato a riforme volute dai governanti, limitarono l’esistenza di più Ordini esistenti in Melfi.
Nel sec. XVIII venne assegnato all’ordine dei Frati Minori Osservanti che vi rimasero fino alla metà del secolo.
Dopo l’unità d’Italia Il Convento venne riassegnato agli ordini ecclesiastici. Doverosa la citazione del Crocifisso in legno di ottima fattura e conservazione a cui sono stati attribuiti proprietà miracolose.